Limitazione della capacità genitoriale: serve una riforma?

I procedimenti di limitazione della capacità genitoriale sono regolati dagli artt. 330 e ss. del c.c. sono tendenzialmente aperti su ricorso del Pubblico Ministero presso il Tribunale dei Minori previa segnalazione dei Servizi sociali, scuola o altro ente pubblico o privato di fatti pregiudizievoli al minore o comunque di presenza di carenze nella capacità genitoriale tali da pregiudicare l’interesse del minore stesso.

Lo svolgimento di tali procedimenti è retto dalle norme del codice di procedura civile che regolano tutti i procedimenti c.d. di volontaria giurisdizione che non garantiscono nel concreto un effettivo diritto di difesa, paragonabile a quello garantito nel processo ordinario, atteso che l’ammissione di ogni mezzo istruttorio è rimessa alla discrezionalità del Tribunale.

Questo vuole dire che in questo tipo di procedimenti le parti non hanno garantita la possibilità di dedurre prove orali, indicare testimoni, produrre documenti, ottenere consulenze tecniche, come nel processo ordinario, ma che tale facoltà è rimessa alla discrezionalità del Giudice

La prassi in essere presso molti Tribunali dei Minori è nel senso di dare rilevanza probatoria quasi esclusiva alle relazioni dei Servizi Sociali e dell’ASL, degli educatori, senza alcuna possibilità di difesa e controdeduzione da parte dei genitori la cui potestà è oggetto di limitazione nel procedimento.

Tali principi ordinatori dei procedimenti di volontaria giurisdizione presentano un evidente squilibrio a detrimento dei diritti di difesa delle parti in causa, genitori in primis, ciò sulla base del presupposto ontologico secondo il quale i Servizi Sociali per definizione agiscono sempre e comunque nell’interesse superiore del minore, con conseguente attribuzione a tali relazioni di una efficacia probatoria quasi inconfutabile e di difficile superamento.

Tale rigida impostazione del processo minorile in materia di limitazione della potestà genitoriale porta in realtà in non rare occasioni a provvedimenti che seppure emessi in astratto nell’interesse esclusivo e superiore del bambino, si dimostrano nel concreto non rispondenti a tutelare tale preminente interesse.

Porterò all’attenzione del lettore il caso di Laura, (nome di fantasia) una minore che si trova inserita da maggio 2019 in una Comunità terapeutica, sulla base delle sole relazioni dei Servizi Sociali e ASL che, accertato un conflitto con la madre, diagnosticato un funzionamento psicotico a tratti paranoideo richiedevano un inserimento immediato e coattivo in comunità terapeutica, con l’uso della forza pubblica della minore, stante, a dire dei Servizi la scarsa consapevolezza della madre rispetto alla grave situazione psichiatrica della figlia e la sua poca collaborazione in tal senso.

Su tale istanza il Tribunale dei Minori, viste le relazioni dei Servizi, disponeva nel maggio 2019 l’inserimento della ragazza nella comunità.

La madre ha presentato mio tramite reclamo avanti la Corte d’Appello richiedendo l’audizione della minore ed una consulenza tecnica d’ufficio contestando la malattia psichiatrica e la necessità di un inserimento coattivo, posto che la descrizione data dai servizi della minore non coincideva con la situazione reale.

La Corte sentita la minore disponeva il deposito da parte dei Servizi Sociali di relazioni aggiornate rigettando l’istanza di disposizione di ctu.

Le relazioni aggiornate dei Servizi confermavano la diagnosi di funzionamento psicotico a tratti paranoideo richiedendo un provvedimento da parte della Corte d’Appello di rigetto del reclamo e conferma di inserimento in comunità. La Corte pertanto in accoglimento della istanza dei Servizi confermava il collocamento in comunità della ragazza.

Parallelamente nel mese di settembre 2019 l’ASL e la comunità terapeutica hanno presentato ulteriore ricorso avanti il Giudice Tutelare di Asti per essere autorizzati a proseguire con la somministrazione dei medicinali, essendosi la madre opposta.

Nell’ambito di tale procedimento il Giudice Tutelare di Asti ha ritenuto invece di concedere una consulenza tecnica d’ufficio, all’esito della quale veniva accertato dallo psichiatra nominato dal Giudice e dal ctp da noi nominato che la minore non è un soggetto psichiatrico, non è affetta di funzionamento psicotico a tratti paranoideo e non necessita di psicofarmaci.

Il ct di parte da noi nominato, noto direttore ASL, ha messo in evidenza altresì l’inutilità dell’inserimento nella comunità descritto al contrario come dannoso e la necessità di impegnare la minore in attività che stimolino l’intelletto (nello stesso senso anche il ctu).

Ora la comunità nonostante l’esito della perizia insiste nel volere trattenere la ragazza in comunità e a fare frequentare la scuola solo a distanza nonostante la ragazza abbia più volte manifestato la volontà di tornare a scuola e a casa.

Allo stato pertanto, alla luce della ctu depositata appare evidente che l’inserimento in Comunità non è stata una scelta nel concreto utile alla minore.

Il prossimo passo sarà una istanza al Tribunale dei Minori per chiedere, viste le nuove risultanze emerse nell’ambito del procedimento avanti il Tribunale di Asti, le dimissioni immediate della ragazza, sperando in un provvedimento in tal senso.

Alla luce di quanto sopra, si auspica un intervento legislativo o un cambio di orientamento e l’introduzione di garanzie a tutela del contraddittorio in procedimento volti a decidere su diritti fondamentali quali potestà genitoriale, diritto alla salute, diritto all’autodeterminazione, allo studio e a rimanere nella propria famiglia. Basare le decisioni sulle sole relazioni dei Servizi infatti non pare essere strumento di per sé sufficiente a garantire il giusto processo e l’interesse del minore.

Studio Legale Puglisi

 

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